Attraverso un'intensa ricerca di laboratorio e l'impiego di materiali industriali quali bitume, foglia di alluminio e lastre d'acciaio tra loro ossidate Hugo McCloud forgia le proprie opere assimilandone la struttura ad una costruzione modulare. Promuovendo l'assemblaggio di forme costitutive estremamente distanti dalla tradizione pittorica in senso classico, l'indagine si incentra sulla declinazione artigianale dell'intervento creativo e sulla fisicità talvolta sofferta che coinvolge l'artista nello studio della materia ed il suo calibrato innesto nell'area di lavoro.
Questa attitudine trova le proprie origini nell'esperienza di vita e in primo luogo nei viaggi che contraddistinguono il percorso di McCloud, durante i quali egli ha assimilato diverse tecniche originarie di paesi come l'India o il Sud Africa nel tentativo incessante di conferire un'inedita ed attuale rilettura di quella visione semiotica che il tempo ha saputo maturare in alcune tradizioni estranee all'Occidente. Ed è nel connubio fra l' apertura nei confronti dell' “altro da sé” e il filtro americano, con cui l'artista da sempre conosce il mondo, che si estrinseca l'opera di McCloud, che per ultimo trae ispirazione nelle strade, in mezzo ai rifiuti urbani dove spesso si trovano metalli o materassi abbandonati dai quali egli trae le immagini dei suoi pattern che scolpisce in matrici di legno.
Quest'ultimo emerge come autodidatta privilegiando un approfondimento estetico orgogliosamente slegato dalle influenze accademiche e rivolto in modo specifico al potenziale gnoseologico della manipolazione. Ne consegue una logica compositiva vicina al “mosaico” che si inserisce a sua volta all'interno di una costruzione verticale, sintesi additiva di ogni singola parte.
L'artista nel suo approccio alchemico muta la natura dei materiali sublimandoli in opere compiute.
La sua pratica si interroga sui limiti del medium, riunendo in un unico immaginario componenti che altrimenti sarebbero destinati alla demolizione o a seguire il proprio destino di rifiuto al quale tutto inevitabilmente converge, incorporando inoltre il processo di ossidazione che corrode, contamina e trasforma.
Le risorse del lavoro vengono ritrovate in viti, pannelli, lastre metalliche o grate normalmente usate nelle costruzioni edili. Tutti strumenti che McCloud adopera stimolando una fusione materica che plasma l'oggetto in base all'idea originaria, senza tuttavia trascurarne le proprietà intrinseche; come in un viaggio di umana evoluzione che si svolge entro i limiti delle regole cicliche della natura.
Spesso le opere di McCloud presentano il medesimo tema riproposto in una trama iterativa, alterata da una singola impronta che viene eseguita attraverso la pressione manuale di veri e propri pattern. Il dinamismo con cui si incontrano le diverse patine tradisce un timido richiamo al design, seppure in una chiave più complessa e marcatamente integrata dai principi fondamentali dell'Arte Povera, intesi dall'artista attraverso una lente peculiare e lontana dall'ipotesi derivazionista.
Se McCloud si esprime sovente componendo superfici monocromatiche interrotte da alcune tonalità distintive, quasi a voler impostare un dialogo prospettico tra molteplici livelli di riferimento, in altre opere, egli pone l'accento sulla gestualità, resa attraverso il calore della fiamma ossidrica che dona nuova impronta alla materia modificandone contorni e sfumature.
L'artista interviene sulle proprie creazioni consapevole di avere un controllo solo parziale del risultato ultimo, frutto di una dialettica incessante e mai realmente conclusa tra soggetto-oggetto, osservante-osservato. Citando le parole di McCloud in una recente intervista: “Ogni volta cerco di portarmi ai limiti della manipolazione materica. E quando ho trovato risposta alle mie domande, ne sorgono di nuove...”.
Contrariamente al dipinto classico in cui l'artista aggiunge alla base creata materia pittorica per esaltare le forme, in Muted Noise Hugo McCloud esprime il desiderio di celare il colore con l'aggiunta di elementi propri quali lastre metalliche, come a far tacere la fonte da cui il colore nasce, ma senza oscurare, ed anzi esaltando singole parti che brillano di luce propria. Come in un'eclisse la luce viene coperta lasciando intravedere i margini della stessa e singole parti di colore assumono ancor piu' vigore.
English version
Through intense research in the workshop and the use of industrial materials like bitumen, aluminium sheet and oxidized steel plates, Hugo McCloud makes his works as if they were the framework of a modular construction. Assembling constituent forms that are extremely distant from the tradition of painting, in the classical sense, the research focuses on craftsmanship in creative intervention, and the sometimes arduous physical nature of the work, which engages the artist in the study of the material and its well-gauged grafting into the area of the work.
This approach lies in the experience of life and, first of all, in the voyages that are an important part of McCloud’s development, during which he has learned about different techniques originating in countries like India or South Africa, in an ongoing attempt to provide an unprecedented and timely reinterpretation of that semiotic vision time has been able to nurture in certain traditions extraneous to the Occident. It is in the combination of openness to the “other than self” and the filter of the American vantage point, through which the artist has always observed the world, that the work of McCloud arises, also drawing inspiration from the streets, in the midst of the urban refuse where he often finds abandoned metals or mattresses, from which he takes the images of his patterns sculpted in blocks of wood.
McCloud is self-taught, and concentrates on a kind of aesthetic refinement proudly detached from academic influences, specifically engaged with the cognitive potential of manipulation. The result is a compositional logic close to that of the “mosaic,” inserted in turn inside a vertical construction, the additive sum of each single part.
The artist, in his alchemical approach, alters the nature of materials, sublimating them in completed works. His practice questions the limits of the medium, joining components in a single imaginary that would otherwise have been demolished, or would have lived out the destiny shared by all things to become refuse. The work also incorporates the process of oxidation that corrodes, contaminates and transforms.
The resources for the work are found in bolts, panels, metal plates or gratings usually used in construction. All items used by McCloud to stimulate a materic fusion that shapes the object on the basis of the original idea, without ever overlooking their intrinsic properties; as in a voyage of human evolution that happens inside the limits of the cyclical rules of nature.
McCloud’s works often reflect the same theme in a pattern of repetitions, altered by a single imprint, done by means of manual pressure. The dynamism of the encounter of the different surface finishes betrays a timid reference to design, though in a more complex key, mingled with the fundamental principles of Arte Povera, viewed by the artist in a very particular way, far from any hypothesis of direct derivation.
While McCloud often expresses himself by composing monochromatic surfaces interrupted by certain distinctive tones, almost as if to establish a dialogue of perspective between multiple levels of reference, in other works he puts the accent on gesture, conveyed through the heat of the flame of the blow torch, which adds a new imprint to the material, altering its contours and shadings.
The artist intervenes in his creations in full awareness of the fact that he has only partial control over the final results, stemming from an incessant and never truly concluded dialectic between subject and object, observer and observed. To use the words of McCloud himself, from a recent interview: “Every time, I try to test the limits of manipulation of materials. And when I have found the answers to my questions, new questions arise...”
Contrarily to the classic painting where the artist add to the base pictorial substance to exalt the forms, in Muted Noise Hugo McCloud witness the wish to cover the colour adding proper elements like metallic foils, as to keep silent the source from which it is born the colour, but without darkening, rather exalting single parts that shine of proper light. Like is a eclipse, the light is covered allowing to glimpse the boarders of the same one, and single parts of colour assume even more vigor.